martedì 12 febbraio 2013

Colonne onorarie: da quella di Traiano a quella Vendôme

LA COLONNA DI TRAIANO Secondo quanto afferma Bianchi Bandinelli, grande storico dell’arte antica, la prima colonna onoraria si deve far risalire a quella eretta per celebrare le conquiste militari dell’imperatore Traiano. In precedenza infatti, le colonne erano state per lo più impiegate come supporto di statue onorarie, ma mai a nessuno aveva pensato di avvolgere intorno al fusto un nastro figurato a rilievo, il tutto sormontato dall’immagine in bronzo dell’imperatore. (R. Bianchi Bandinelli, Roma. L’arte romana nel centro del potere, pp. 239-240)
Se è presente un collegamento alla tradizione, va ricercata semmai nella sequenza delle storie, sviluppate a bassorilievo continuo, ispirate sicuramente alle pitture trionfali. Il fusto sul quale si avvitano i rilievi è alto quasi 27 metri (26,62 m. per la precisione), cui si aggiungono il toro (che è il basamento proprio della colonna) e il capitello, arrivando a 29,78 metri, coincidenti con cento piedi romani. Comprendendo anche il grande basamento, si arriva ad una altezza di quasi 40 metri. Costituita di 17 rocchi di marmo greco, la colonna ha un diametro di quasi 4 metri, e venne scolpita quando si trovava già eretta. La fascia con i bassorilievi si svolge in 23 giri e per una lunghezza di 200 metri. L’altezza della striscia figurata cresce a mano a mano si avvita verso l’alto, per contrastare l’effetto ottico prodotto dall’osservazione dal basso. Sono narrate le due guerre combattute personalmente da Traiano contro i Daci, nel 101-102 e nel 105-107, nelle zone del Danubio al di là delle Alpi Transilvane fino ai Carpazi orientali. Dal punto di vista artistico e tratta di una delle più significative opere d’arte di tutta l’Antichità. Di questo se ne accorsero già gli artisti del Rinascimento, a cominciare da Donatello. Sempre variati sono gli episodi, e in tutti i 200 metri di rilievo si avverte una instancabile inventiva. Traiano è raffigurato numerose volte e sempre “primus inter pares”, ben riconoscibile e mai in pose di esaltazione.
Il suo autore resta ancora sconosciuto, e indicato genericamente come il “Maestro delle imprese di Traiano”. Fu questo scultore a corridinare la grandiosa impresa scultorea, sorvegliando che il lavoro venisse svolto senza variazioni di qualità e di stile. Uno stile che riesce a dare «l’illusione di ariose prospettive spaziali entro le quali le figure si muovono senza sforzo. Le convenzioni prospettiche per rappresentare edifici e vedute di città erano già in uso da secoli; qui gli edifici raffigurati acquistano insolita evidenza e precisione architettonica» (Bianchi Bandinelli, p. 241). Il rilievo è in molti punti bassissimo, così da non alterare il profilo della colonna (e questa è una delle più significative differenze rispetto alla colonna di Marco Aurelio).
I nemici non sono mai interpretati in modo completamente negativo: le loro doti di coraggio, di leatà, di attaccamento alla patria vengono messe in risalto, come nel caso del Suicidio di Decebalo, re dei Daci. L’uomo, non più giovane, è ritratto a terra, mentre avanzano i soldati romani, alcuni dei quali a cavallo, altri a piedi, armati di spade e difesi dagli scudi. Decebalo si porta il coltello alla gola, e il suo sguardo fiero rivela che per lui la morte è considerata fine migliore della progionia. Gli alberi che fanno da sfondo alla drammatica scena, contribuiscono a renderla più umana a toccante.
Questa scena è separata dalla successiva mediante uno sperone roccioso e due alberi. http://www.irreer.it/emilia/col/colonna/001.htm
LA COLONNA DI MARCO AURELIO La colonna eretta da Commodo per onorare la memoria di suo padre Marco Aurelio è simile a quella di Traiano rispetto alla concezione complessiva, ma diversissima nello stile. Realizzata tra il 180 e il 192, è alta quanto quella traiana. I rilievi delle scene sono molto più marcati, ottenuti con il massiccio impiego del trapano, e la sequenza delle vicende narrate ha un marcato accento orizzontale, col risultato di diminuire l’effetto di profondità. Se nella colonna Traiana si dava ampio spazio alle ambientazioni, al paesaggio, ai contesti spaziali, in quella di Marco Aurelio le figure tendono ad occupare per intero le fasce, e presentano inoltre una certa ripetitività. Diminuisce il realismo (che prevede situazioni e fisionomie sempre diverse), e si accentua la dimensione irrazionale e simbolica.
Questo aspetto emerge con forza nella cosiddetta scena del Miracolo della pioggia, dove appare un essere sovrannaturale, dalle sembianze mostruose, con le braccia spalancate da cui cade una intensa pioggia. Pioggia che porta alla vittoria dei romani, dal momento che i loro nemici, a destra, sono raffigurati ammassati, come fossero stati travolti dall’acqua. Una vittoria raggiunta per intervento divino, mentre nella colonna Traiana era merito dell’abilità strategica. Il senso del miracolo ha sostituito la ragione. Ecco come si presenta una porzione della Colonna Traiana.
E come si presenta una porzione di Colonna di Marco Aurelio. In questo modo si possono meglio cogliere le differenze presenti nei rilievi delle due colonne.
COLONNA DI ARCADIO Ad imitazione di quelle presenti a Roma, fu realizzata a Costantinopoli la colonna onoraria di Arcadio, figlio dell’imperatore Teodosio, tra il 402-403. Con essa si intendeva commemorare la vittoria riportata da Arcadio sui Goti di Gainas nel 400. Nella parte bassa della colonna era raffigurata infatti la liberazione della capitale dai suoi occupanti barbari mediante l’intervento degli angeli giunti in soccorso dell’imperatore.
Distrutta nel XVI secolo, se ne conservano solo le fondamenta e la base, in granito rosso. E’ tuttavia possibile farsi un’idea del suo aspetto attraverso una serie di disegni realizzati nel 1575 (Cambridge, Trinity College, inv. n. O.17.).Nel registro inferiore stavano scolpiti trofei, armi, figure di prigionieri; nel secondo registro erano due Vittorie che conducevano due schiere di prigionieri, rispettivamente di barbari dell’estremo Oriente e dell’estremo Occidente, a rappresentare la sottomissione universale all’Impero. Al centro del terzo registro stavano i due imperatori loricati (Arcadio e Onorio), appoggiati alla lancia e affiancati tra loro in una solenne staticità.
LA COLONNA DI BERNARDO AD HILDESHEIM «Quali che fossero le iniziali ragioni dell’invenzione simbolarissima che un Maestro vicino a Traiano seppe imporre alle generazioni successive, quello della “colonna coclide istoriata” (detta “coclide” dalla scala a chiocciola interna, che permette di salire fino alla simmità) divenne al tempo stesso uno dei più caratteristici monumenti dell’una e dell’altra Roma [quella pagana e quella cristiana] e un genere quanto mai “tipico” dell’arte romana e dei suoi eredi. Perciò possiamo ritrovarlo adoperato, con varietà di esiti, come un modo di presentazione, starei per dire “trionfale”, delle storie di Cristo, o di quelle dei santi, in esempi che certamente non hanno contatti tra loro, e neppure discendono da una delle colonne istoriate di Roma o di Bisanzio, ma sono, piuttosto, prosecuzioni del “genere” in quanto tale» (S. Settis, Continuità, distanza, conoscenza. Tre usi dell’antico, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, 3 voll., pp. 376- 486, in part. p. 446).
In origine nella chiesa abbaziale di San Michele ad Hildesheim (ma ora nel duomo della città tedesca), è la colonna tortile in bronzo fatta realizzare dal colto vescovo Bernoardo nei primi anni dell’XI secolo (1008-1015 circa). La cultuta classica di Bernoardo, messa in luce anche dalla definizione architettonica della chiesa che rivela la conoscenza del trattato di Vitruvio, è suggerita dal riferimento alle colonne onorarie viste a Roma. Il contenuto delle scene, tuttavia, è ben diverso. Abbandonati i racconti marziali, la colonna sviluppa dal basso verso l’alto - e senza interruzioni – gli episodi evangelici dal Battesimo di Cristo fino alla Crocifissione. Le singole figure sono definite con un accentuato senso plastico mentre i contesti paesaggistici, appena accennati, servono unicamente quali riferimenti spaziali.
LE COLONNE DELLA KARLSKIRCHE DI VIENNA La grande chiesa di San Carlo di Vienna, eretta come espiazione di un voto fatto nel 1713 dall’imperatore Carlo VI (1711-1740), vede ai lati della facciata due grandi colonne. Alla base di tutto vi fu un concorso, cui parteciparono molti architetti tra cui Ferdinando Galli Bibiena e Johann Lucas von Hildebrandt. Ne risultò vincitore Johann Bernhard Fischer von Erlach. Già il 5 dicembre 1715, l’antiquario e numismatico imperiale Carl Gustav Heraeus ne comunicava la notizia ad Hannover al filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz, che aveva espresso interesse per il concorso: «Sa. Maj. Imp. Vient de donner une preuve de son bon goût décésif, en se declarant contre beaucoup d’autres pour les desseins de Mr de Fischers touchant l’église de St. Charles» («Sua Maestà l’Imperatore ha appena dato prova del suo buon gusto decisionale, dichiarandosi, contrariamente a molti, a favore dei disegni del Signor Fischer che riguardano la Karlskirche»). Nel settembre del 1718, ancora il già citato Heraeus scriveva a Leibniz: «Dans le dessein que Mr de Fischers fait et qui Vous fera plaisir, je suivrai Vos avis d’appliquer a Charles Magne une des Colonnes colossales y employées» («Sul disegno che il Signor Fischer fa e che vi farà piacere, sono del Vostro avviso di dedicare a Carlomagno una delle colossali colonne»).
Circa nello stesso periodo, il filosofo esprimeva altri pensieri a proposito dei soggetti delle colossali colonne, concepite a imitazione della colonna Traiana dell’antichità: «Je serais bien aise d’avoir votre sentiment, Monsieur, et celuy de Fischers, s’il ne servit à propos d’avoir aussi quelque regard a S. Charles Magne, et a S. Charles Comte de Flandres tous deux prédécesseurs de l’Empereur, l’un dans l’Empire, l’autre dans une partie des pais héreditairés» («Vi sarei grato se potessi avere il Vostro parere, Signore, e quello di Fischer sull’opportunità di uno sguardo a Carlomagno e a Carlo conte di Fiandra, entrambi predecessori dell’Imperatore, l’uno del l’Impero, l’altro per i paesi ereditari». A differenza di quanto proposto da Leibniz, i soggetti scelti per i rilievi delle due colonne si collegavano al Santo titolare della chiesa, San Carlo Borromeo, protettore contro la peste ed omonimo dell’Imperatore, e alla loro realizzazione erano stati coinvolti Christoph Mader, impresario generale, e Jakob Christoph Schlettererm scalpellino. L’adozione del tema religioso, rispetto a quello politico-imperiale, era più coerente con l’intitolazione della chiesa. Un ulteriore livello interpretativo farebbe delle due colonne, indicate come “erculea” e “carolina”, l’emblema del motto del sovrano “Constantia et Fortitudine”, e possono alludere anche a quelle poste all’ingresso del tempio di Salomone a Gerusalemme, indicate con “Jachin” e “Boas”.
Dopo che Schletterer aveva prodotto dei modelli, Mader lo allontanò dal cantiere. Secondo il teorico d’arte Johann Joachim Winckelmann, Carlo VI richiese modelli delle colonne a tutti gli artisti più abili del momento. Anche l’italiano Lorenzo Mattielli venne preso in considerazione, ma il suo lavoro non venne accettato, dal momento che il rilievo troppo profondo avrebbe ridotto la massa della pietra e creare così problemi alla stabilità delle colonne. Al Mattielli vennero comunque commissionati i loro coronamenti: «[nel 1727] a Lorenzo Mattielli anch’egli scultore per il modello fatto delle aquile e della corona da collocare sopra quelle piramidi in pietra…125 fiorini». Nei documenti d’archivio le colonne vengono curiosamente indicate come “piramidi”. COLONNA VENDÔME Tra le più recenti colonne onorarie, è quella eretta a Parigi in Place Vendôme, da cui prende il nome. Si tratta di un’opera alta ben 44 metri e di circa 3,60 metri di diametro, costituita di 98 rocchi di pietra rivestiti da una spirale in bronzo. Il bronzo venne ottenuto dalla fusione di circa 130 cannoni sottratti alle armate russe e austriache ad Austerlitz (la propaganda filonapoleonica parla addirittura di 1200 cannoni).
La spirale è lunga 280 metri e costituita da 425 lastre, disegnata a Pierre Bergeret (1782-1863) e portata a termine da una squadra di scultori tra i quali Bartolini, Bosio, Rude, Boizot. Una scala a chiocciola interna permette d’accedere a una sorta di terrazzino situato ai piedi della statua di Napoleone, raffigurato come Caesar imperator da Auguste Dumont. L’imperatore indossa una corta toga e porta il gladio, la vittoria alata e la corona d’alloro, simbolo imperiale. L’iscrizione dedicatoria recita «Napolio. Imp. Aug. Monumentum. Belli. Germanici anno M.D.CCCV trimetri. Spatio. Ducto. Suo. Profligati. Ex. Aere. Capto. Gloriae. Exercitus. Maximi dicavit».
Nel 1871, quando la popolazione di Parigi insorse contro l’imperatore Napoleone III (la Comune di Parigi), la colonna venne abbattuta. Fu il celebre pittore Gustave Courbet che, per primo, indirizzò una petizione al governo della Difesa Nazionale al fine di «demolire la colonna, o che egli stesso voglia prendere l’iniziativa, dando l’incarico all’amministrazione del Museo dell’artiglieria, e facendo trasportare i materiali all’Hôtel de la Monnaie». La sua intenzione era, infatti, quella di ricostruirla agli Invalides. Ma gli eventi precipitano, e la colonna viene ormai percepita quale monumento alla barbarie, simbolo di forza bruta e di falsa gloria, affermazione di militarismo, negazione del diritto internazionale, insulto permanente dei vincitori ai vinti, nonché attentato continuo ad uno dei tre grandi principi della Repubblica: la fratellanza!. Courbet viene coinvolto nella distruzione avvenuta il 16 maggio 1871, e gli si attribuirà la responsabilità. Dopo la fine dell’esperienza della Comune, la colonna viene ricostruita con le lastre di bronzo recuperate, e Courbet viene condannato a pagare i costi della ricostruzione. Morirà prima della scadenza della prima rata.
Rilievo iniziale della Colonna Traiana, che raffigura le sponde del Danubio, quando ancora il fiume delimitava i confini orientali dell'Impero, prima della conquista della Dacia. Bibliografia e sitografia http://it.wikipedia.org/wiki/Colonna_Traiana http://it.wikipedia.org/wiki/Colonna_di_Marco_Aurelio Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana, a cura di Serena Ensoli, Eugenio La Rocca, Roma, L’Erma di Bretschneider, 2000, pp. 610-611 Michael Krapf, Il modello architettonico nell’area d’influenza della corte imperiale, in I Trionfi del barocco. Architettura in Europa. 1600-1750, Bompiani, 1999, pp. 397- 417, in part. pp. 397-404. Achille Murat (prince), La Colonne Vendome, Paris, Éditions du Palais Royal, 1970. http://it.wikipedia.org/wiki/Colonna_Vend%C3%B4me

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