mercoledì 27 novembre 2013

LA MINIATURA (1)

LA MINIATURA PRIMA DEL RINASCIMENTO
Cosa si intende per miniatura?
Si tratta di una specifica tecnica pittorica che si differenzia dalle arte tecniche artistiche. Il termine “miniatura” deriva da minium, ossia il colore rosso cinabro (solfuro di mercurio) impiegato dagli amanuensi per decorare i titoli, le iniziali e i fregi dei codici. Nella lingua francese si usa invece la parola enluminure, derivata dal verbo enluminer (‘rendere luminoso’). La miniatura quindi, con i suoi colori e le sue forme, è chiamata ad “illuminare” un testo scritto su qualsiasi tipo di supporto (dal volumen o rotulus, al codice, al libro, dal papiro alla pergamena alla carta, dal piccolo e privato Libro d’Ore alle grendi Bibbie o Antifonari).

Spesso il carattere privato della fruizione concedeva maggiori spazi di libertà creativa rispetto alla pittura ad affresco e alle altre arti. Lo dimostra il fatto che nella miniatura si trovano i primi ritratti, i primi paesaggi, l’incontro fra i temi sacri e quelli profani, le prime forme di rappresentazione realistica, tutti aspetti che avrebbero poi trovato espressione tra le arti “maggiori”. E’ stato scritto infatti che «in certi periodi, poi, come nei secoli XII e XIV, la tecnica più importante e innovativa non è la pittura, ma la miniatura, che addirittura assume il ruolo di tecnica-guida» (C. Segre Montel). Da tenere presente è anche che i codici miniati, essendo di facile trasporto, divennero importanti veicoli di temi e di stili pittorici. Il declino della miniatura avviene lentamente con l’affermarsi dei libri a stampa, in cui le immagini erano riprodotte mediante xilografie o incisioni.

Nelle isole britanniche si sviluppa un particolarissimo tipo di decorazione miniata, di gusto anglo-irlandese, in cui al posto di una illustrazione a commento del testo (come avviene nella tradizione bizantina) si ha una decorazione fantastica, geometrica, astratta e autonoma rispetto al contenuto dei brani. 
Libro di Kells
Libro di Kells, Cristo in trono
 Ne è una prova efficace il cosiddetto Libro dei Kells, conservato al Trinity College di Dublino, riccamente ornato da monaci irlandesi intorno alla seconda metà dell’VIII secolo. 
Lo stesso vale per il Libro di Durrow (del VII secolo) o per l’Evangelario di Lindisfarne (conservato alla British Library di Londra), considerato una delle più importanti espressioni della miniatura irlandese del primo millennio.
       Libro di Durrow, San Matteo
Libro di Durrow, pagina miniata con decorazione a tappeto
 Evangelario di Lindisfarne

Evangelario di Lindisfarne, San Matteo.


Tuttavia in quest’ultimo libro si avverte già l’influenza dell’arte bizantina, come rivela l’immagine dell’Evangelista Matteo, non più raffigurato coperto di una massa di pieghe ma di un panneggio che avvolge con coerenza il corpo seduto.

La miniatura francese dell’VIII secolo appare in parte influenzata da quella delle isole britanniche, come rivela il Sacramentario detto  Gelasiano (un libro liturgico usato dalla Chiesa e contenente parti della messa riservate al celebrante) della Biblioteca Apostolica Vaticana, miniato senza dubbio nel monastero di Chelles poco prima del 750, rappresenta uno degli esempi più significativi di questa produzione. 
Sacramentario GelasianoFrontespizio e Incipit, Città del Vaticano, B. Apostolica, ms. reg. lat. 316.

La decorazione, limitata ai frontespizi e alle iniziali delle grandi suddivisioni del testo, si distingue soprattutto per l’abbondanza dei motivi zoomorfici che, oltre ad accompagnare il soggetto principale, si combinano tra loro per formare delle lettere. Il ricordo dell’oreficeria cloissonnée, che in questo ambiente aveva una lunga tradizione, sembra essere ben vivo in questo manoscritto. La gamma cromatica limitata ai verdi e al rosso ocra applicati in modo uniforme, si richiama a certi oggetti metallici che erano dotati di piccole cavità riempite di pasta vitrea. Ma in queste miniature si possono scorgere anche riferimenti ad altre eredità o influenze. Come dimostrano molti sarcofagi ravennati, il tema della croce raffigurata sotto un’arcata era già diffuso nel V e nel VI secolo. Le due forme della croce – in alcuni casi dotata di protuberanza fitomorfiche ed in altri di medaglioni in corrispondenza delle estremità dei bracci triangolari – rinviano invece direttamente ad alcuni modelli dell’Oriente mediterraneo;  e probabilmente è proprio in quest’area che bisogna cercare i modelli di quadrupedi o volatili che si fronteggiano o si danno le spalle in queste miniature (l’introduzione in Gallia dei primi tessuti di seta decorati con figure simili risale precisamente all’VIII secolo). L’eliminazione della figura umana a vantaggio dei segni rispondeva all’esigenza di utilizzare i simboli in tutta la loro forza espressiva, secondo una scelta auspicata da insigni autori della tradizione cristiana. Anche la selezione della maggior parte dei motivi animalistici non ha un carattere casuale: il cervo e la colomba venivano da una data assimilati al fedele che aspira alla vita eterna; l’aquila rappresentava il volo dello spirito divino; il pesce, la cui fortuna derivava dal fatto che in greco le lettere del suo nome componevano l’anagramma di quello di Cristo, Figlio di Dio, il Salvatore…Una serie di reminescenze paleocristiane che avrebbero preparato il grande ritorno alle fonti del periodo carolingio.
Con Carlo Magno in particolare si avverte  un deciso riavvicinamento del mondo franco a Roma, ed è significativo che questo coincida con un momento decisivo: nella loro reazione ostile contro le correnti iconoclaste allora prevalenti a Bizanzio – correnti che continuarono ad essere minacciose anche durante il periodo di calma del 787-815-, gli ambienti vicini al papa tentarono attivamente di riaffermare “attraverso le immagini” le posizioni ortodosse; numerosi pittori fuggiti dall’Oriente, che si erano formati all’interno delle tradizioni figurative dell’antichità classica, diedero un grande contributo al rinnovamento. Furono questi modelli, e senza dubbio in certe occasioni alcuni di questi artisti, che consentirono la straordinaria fioritura dei manoscritti da cerimonia carolingi.
Copiata e miniata su iniziativa dell’arcivescovo di Reims, Ebbone, e destinata al vicino monastero di Hautvillers, una raccolta di quattro Vangeli esprime in modo particolarmente sorprendente questa rinascita. (Epernay, Bibliothèque Municipale, ms. 1).
Evangelista Matteo, pagina miniata dei Vangeli di Ebbone, 820 circa. Epernay, B. Municipal, ms. 1, f.18v

Come nel periodo paleocristiano, il ritratto dell’Evangelista è sovrapposto alla raffigurazione dell’autore che, nei più sontuosi manoscritti dell’antichità pagana, era solita fare la sua comparsa all’inizio dei testi. Privilegiando un tratto nervoso che si coniuga a effetti di chiaroscuro piuttosto incisivi, l’artista conferisce al suo personaggio ( e alla vegetazione da cui è circondato), un potente dinamismo, ricollegandosi così a una caratteristica di cui gli affreschi, dall’esecuzione molto leggera, di epoca ellenistica e romana. Tuttavia, è solo grazie al suo genio che il pittore di Ebbone, esasperando in modo straordinario questa tendenza, riesce a trovare un accordo ideale col il suo soggetto: accentuando lo sguardo levato del personaggio e la sua posa contorta, questa agitazione febbrile esprime infatti con grande efficacia la trascendenza dell’ispirazione divina.

Per riassumere, nel periodo carolingio la miniatura presenta alcune novità come: un maggiore senso dello spazio, più attenzione al naturalismo nelle scene in cui sono presenti animali, l’aspirazione a un senso di monumentale maestà. Dal punto di vista iconografico, quindi dei soggetti, fa la sua comparsa il tema della fons vitae (la fonte della vita), che sarà frequentemente ripreso in epoca gotica. Fondamentale è l’Evangelario di Godescalco, commissionato da Carlo Magno e da sua moglie Ildegarda a Godescalco, che lo realizzò nel 781-83 nello scriptorium più importante della Francia di allora, la Schola Palatina di Aquisgrana. 
Bibbia di Godecalco, Cristo in trono benedicente.
Evangelario di Godescalco, a sinistra la Fons Vitae.

Grazie ai riferimenti a una visita a Roma e al battesimo di Pipino, figlio di Carlo, è possibile datare l’Evangelario (ora conservato alla Bibliothèque national de France di Parigi, Ms. Lat. 1203) a quegli anni. Nelle immagini, raffigurate a piena pagina, convivono riferimenti all’arte bizantina e ravennate e grandi iniziali. 
Verso l’870, le composizioni più significative furono commissionate dallo stesso monarca. Alcune di queste opere svolsero un ruolo non trascurabile negli eventi politici del tempo, come, ad esempio, la Bibbia detta di San Paolo fuori le mura, molto probabilmente donata da Carlo il Calvo a papa Gregorio VIII in occasione della sua incoronazione a imperatore avvenuta a Roma nell’875.
Carlo il Calvo in trono, pagina miniata della Bibbia di San Paolo fuori le mura, 870 circa. Roma, f. 1
Oltre a un prologo in lode del sovrano, il ritratto in maestà di Carlo testimonia ancora più eloquentemente il desiderio di esaltare il re e il carattere sacro della sua missione. Attorniato dalla regina e dai dignitari di corte, ma anche dalle quattro virtù cardinali (Fortezza, Giustizia, Prudenza, Temperanza) e da due angeli, Carlo appare in effetti in una cornice in cui si uniscono il regno terrestre e la sfera celeste, e la sua appartenenza a entrambi si traduce immediatamente nelle dimensioni colossali della sua figura, che comprende tutti e due i registri; l’architettura in cui si inserisce – abbastanza goffamente – l’effigie reale, svolge in questo senso un ruolo determinante per l’impiego del duplice simbolismo del baldacchino e del frontone. Ma ad di là di questa idealizzazione così imponente del potere, l’illustrazione colpisce anche per l’accurato trattamento della fisionomia del sovrano: benché non si possa parlare di un vero e proprio intento verista nella descrizione dei tratti del modello, l’incontestabile caratterizzazione e la tensione di questo volto severo esprimono un’autentica profondità psicologica. Nonostante la probabile mancanza di attenzione per la rassomiglianza, questa pagina magistrale rappresenta uno dei primi tentativi di ritornare alla grande arte del ritratto ellenistico e romano. 
Frontespizio del Deuteronomio (ultimi episodi della vita di Mosè), pagina miniata dalla Bibbia di San Paolo fuori le mura, Roma, f. 50 v


Il frontespizio del Deuteronomio, in cui sono illustrati gli ultimi episodi della vita di Mosè, presenta una composizione piuttosto sovraccarica, in cui appare una gran folla di personaggi e in cui le architetture e il paesaggio sono caratterizzati da una maggiore complessità; ma le componenti di questi ultimi sono, malgrado tutto, ancora derivate dagli schemi stereotipati in uso nella tarda antichità. Ci troviamo di fronte ad un tentativo di emancipazione dalla supremazia del primo piano: oltre alla moltiplicazione delle linee di fuga degli edifici sovrapposti, l’ampio semicerchio descritto dall’assemblea di Israele crea un innegabile effetto di profondità.

Miniature ottoniane
Le Miniature ottoniane del IX e X secolo, rielaborano la tradizione figurativa carolingia producendo codici di grande ricchezza, dove è maggiore la gamma cromatica, la novità degli schemi compositivi e l’intensificarsi dei riferimenti simbolici. Fulcro di questa fase è l’abbazia benedettina di Reichenau (in tedesco Kloster Reichenau, posta sull’isola omonima del lago di Costanza, e insieme all’abbazia di San Gallo e di Fulda era tra le più importanti abbazie del periodo carolingio). Nello scriptorium di questa abbazia vennero realizzati l’Evangelario di Ottone III (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek), l’Evangelario del duomo di Bamberga (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek), il Codex Augiensis (Cambridge, Trinity College, cat. n. B. XVII.1), il Codice di Gerone (970 circa), il Codex Egberti (983 circa), il Registrum Gregorii (985 circa).
Ottone III in trono, dall'Evangelario di Ottone III (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek)

Ottone III è raffigurato in forme simili a quelle del suo predecessore, Ottone II (oggi al Musée Condé a Chantilly), ma mentre quest’ultimo è affiancato dalle province della Slavonia, della Gallia, della Germania e di Roma, Ottone III (parimento coi simboli del potere spirituale e temporale), lo è di quattro dignitari (a sinistra sono due chierici, a destra due laici, in ciascuno dei gruppi uno è più anziano e l’altro, posto in secondo piano, più giovane. I chierici indicano la sottomissione all’imperatore dei vescovi-conti , i laici sono visibilmente connotati come condottieri. Dietro all’imperatore sta un drappo in segno d’onore, ereditato dai modelli romani e successivamente passato all’iconografia cristiana (si veda la Madonna in Maestà, cioè in trono, di Duccio di Buoninsegna conservata agli Uffizi).

XIII secolo
Nel Duecento la Francia diventa il massimo centro della miniatura europea. L’Evangelario della Sainte-Chapelle e i due Salteri di San Luigi sono tra i capolavori dei miniaturisti gotici francesi che cominciano a diventare autonomi rispetto agli scriptoria dei conventi, specie grazie all’Università che arricchisce significativamente la vita culturale parigina. Gli argomenti dei libri si differenziano, comprendendo cronache, romanzi, enciclopedie, accentuando i caratteri stilistici individuali nella tecnica e nello stile. 
Con il XIII secolo l’elaborazione dei manoscritti, fino ad allora concepiti negli scriptoria delle abbazie, si spostò verso la capitale, grazie allo sviluppo dell’Università che assunse il controllo delle copie. In conseguenza della sua situazione privilegiata ai margini del quartiere Latino, della prossimità del clero di Notre-Dame, così come della corte che dimorava nel Palais de la Cité, il quartiere di Saint-Séverin diventò allora e rimase per molti secoli il settore commerciale in cui operava il librarius, colui che coordinava la fabbricazione del libro e ne assicurava la vendita. Nel Duecento, la Bibbia e i commenti biblici su cui poggiava l’insegnamento teologico occupavano naturalmente il primo posto in questa produzione. Taluni codici, come la Bibbia moralizzata (Bible moralisée) della  cattedrale di Toledo, offerta da san Luigi ad Alfonso X di Castiglia, sono ornati da più di cinquemila miniature, e potevano dunque essere realizzati solo da una struttura organizzata ed efficace. Il contesto dell’Università, essenziale  allo sviluppo del pensiero e al contenuto iconografico di queste opere, non costituiva tuttavia sempre l’ambiente più stimolante per le esperienze artistiche, poiché sul piano stilistico tendeva ad incoraggiare un atteggiamento conservatore: così, durante la prima metà del secolo, i miniatori del quartiere Latino si adagiarono nello stile ormai acquisito, sfruttando per quasi mezzo secolo tutti i registri che si erano imposti intorno al 1200. Altre testimonianze, nel corso di tutto il XIII secolo, attestano la qualità della produzione dei libri in altri ambienti, quali il nord e il nord-est della Francia. Forse meno intensiva di quella della capitale e suscettibile di ricorrere, occasionalmente, a pittori non specialisti nella miniatura, questa produzione sembra però sfuggire con maggiore facilità alla routine. In ogni caso, a Parigi come altrove, cresceva la domanda proveniente da ambienti laici, nobili o persino borghesi, e la natura stessa delle opere evolveva concretamente verso libri di pietà personali, ma anche verso una letteratura profana (storica, romanzesca, didattica) redatta in lingua vernacolare.

La funzione delle immagini nel codice medievale
Oltre a quello di semplice abbellimento, viene da chiedersi quale fossero la funzione e il tipo di fruizione delle immagini in un codice medievale. La celebre affermazione di papa Gregorio Magno, secondo cui la pittura ha lo scopo di insegnare gli analfabeti quel che non possono leggere nei libri, per le illustrazioni dei testi medievali non può essere, per ovvie ragioni, chiamata in causa. Il libro miniato era destinato ai pochi “litterati”. Uno studioso francese della miniatura, Michel Pastoreau, scrive: “ nella sua essenza, ogni immagine è polisemica. Può essere letta a diversi livelli, esercita diversi poteri evocativi e fa del lettore non più un consumatore, ma un produttore di immagini egli stesso”.  A variare è anche la provenienza culturale del lettore, il suo livello di preparazione, le attese che ha rispetto al testo; può esserci quindi una lettura dell’immagine che è limitata alla semplice comprensione del soggetto, oppure al piacere estetico che ne deriva, o ancora può esserci una interpretazione più complessa delle scene figurate che mira a cogliere profondi significati portando così il fruitore alla contemplazione e all’ascesi mistica.
Una funzione pedagogica ed educativa le immagini dei codici dovevano pur averla. Infatti a darcene la prova è un passo di Ugo di San Vittore, del XII secolo, secondo cui “è molto utile per memorizzare bene che, mentre leggiamo, siamo attenti a imprimere nella memoria visiva non solo il numero e l’ordine dei versi e delle frasi, ma anche il colore e la forma delle lettere, insieme al luogo e alla posizione che esse hanno, dove abbiamo visto scritto quella cosa e dove quell’altra, e in quale parte, in quale luogo l’abbiamo vista posizionata (in alto al centro o in basso), quale colore avesse il tratto della lettera o la faccia decorata della pergamena”.
Ne consegue che anche le iniziali svolgono un ruolo importante. Nelle iniziali decorate il collegamento fra parola e immagine si sviluppa secondo una fantasia che porta in varie direzioni: verso la sfera della narrazione, verso quella simbolica, verso quella puramente ornamentale, spesso convergenti nello spazio fantastico del libro dove tutto è possibile grazie alla sapienza del miniatore e dei mezzi cromatici.
Va precisato che le immagini di un codice non illustrano solo un testo, ma aiutano nella lettura dello stesso, chiarendo o integrando alcuni suoi passaggi, e sicuramente divenendo uno strumento per rafforzare la memorizzazione e la devozione.
Nei Vangeli della badessa Hidta (conservati a Darmstadt, Hochschulbibliotek), l’iscrizione che affianca la rappresentazione della Maestà divina recita “Questa immagine visibile figura l’invisibile verità”, il che sta ad indicare come la figura visibile a tutti possa diventare, nel lettore attento, il mezzo per arrivare ad una realtà spirituale più profonda. In tal senso, pittura e scrittura si pongono quasi sullo stesso livello. 
Il Verbo divino si è fatto carne nelle pagine di un testo, esattamente come la sua Parola si è “materializzata” nell’immagine: «I nodi, gli intrecci, gli esseri mostruosi e fantastici, gli elementi vegetali e animali, i personaggi che animano le iniziali ostacolano la lettura convenzionale del senso letterale e stimolano a cercare lo Spirito nella lettera» (G. Orofino, “Leggere” le miniature medievali, in Arti e Storia medievale, vol. 3, Torino, Einaudi, 2004).
Le lettere riccamente miniate dei testi sacri e liturgici, scollegate dalla funzione di riprodurre un suono, se osservate con attenzione mettono in luce un significato simbolico ben preciso, come il monogramma del nome di Cristo  (XP) o la lettera T che rappresenta la croce.
Per questa ragione i grandi codici decorati venivano mostrati ai fedeli illetterati ed esibiti sugli altari, specie durante le solenni celebrazioni religiose. Immagini a piena pagina di eposidi evangelici o agiografici, avevano funzione di catechesi e di supporto alla predicazione. Un particolare tipo di miniatura è quella realizzata sugli Exulted, prodotti nell’Italia del Sud fra il X e il XIV secolo. Si trattava di rotoli di pergamena dove, spesso, le immagini erano dipinte in senso capovolto rispetto al testo, per consentire al religioso – che si trovava in cima all’ambone – di intonare il canto di esultanza (da ui Exulted) per la risurrezione di Cristo, il Sabato Santo, mentre i fedeli osservavano le figure.  Per l’analfabeta la pagina preziosamente dipinta potenziava la natura sacra (e in un certo senso “magica”) della scrittura.
Diversamente accade se il testo non è di natura religiosa ma è legato alla letteratura cortese e cavalleresca, una chanson de geste o una cronaca: in questo caso la lettura avveniva all’interno della società della corte aristocratica e prevedeva la recitazione ad alta voce del testo, traendolo da codici di grande formato con illustrazioni che consentivano una visione allargata. In seguito si passò ad una lettura più personale, intima e privata dei codici e, pertanto, anche il loro formato si riduce significativamente. Richard de Fournival, nel prologo al Bestiaire d’amour, si rivolge alla “dolcissima amica” (cui è dedicato il trattato), descrivendo il complesso rapporto che c’è tra ascoltare, leggere e vedere: «quando si vede dipinta una storia, per esempio quella di Troia o di un’altra, si vedono le imprese dei prodi cavalieri che vissero nel passato, come se fossero presenti dinanzi a noi. E lo stesso avviene per la parola. Infatti quando si sente leggere un romanzo, si assiste alle avventure come se si svolgessero davanti a noi».  La copia trecentesca del Bestiaire conservata alla Bodleian Library di Oxford, in quel punto del testo si trova la raffigurazione di un uomo che, con un libro aperto sulle ginocchia, guarda di fronte a sé alcuni cavalieri antichi. Poco oltre, lo stesso Richard de Fournival annota che, grazie alle miniature, «l’occhio dovrebbe trovare un grande diletto nel vedere, l’orecchio nell’udire e la memoria nel ricordare».
Vangeli della badessa Hidta (Darmstadt, Hochschulbibliotek), Majestas Domini.
http://www.enluminures.culture.fr/documentation/enlumine/fr/index3.html

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