venerdì 4 gennaio 2013

Il Partenone in epoca moderna

In quest'immagine tratta da un dipinto dell'artista americano Edwin Fredrich Church, il Partenone di Atene (che lui visitò nell'aprile 1869)si presenta come una maestosa rovina. Scomparse le sue preziose decorazioni (in gran parte prelevate da Lord Elgin per il British Museum), crollata la cella del tempio (per l'esplosione avvenuta sul finire del Seicento durante la battaglia tra veneziani e ottomani), il Partenone riusciva ad evocare ai visitatori la sua grandezza solo attingendo alla forza del mito. Il sole del mediterraneo avvolge il marmo pentelico delle colonne e di quel che resta del fregio dorico dalle grandi metope. Persino le sue divinità avevano cambiato sede, come aveva già notato il filosofo neoplatonico Proclo che abitando vicino all'Acropoli, verso il 430 d.C. fece un sogno: la dea Atena oramai scaccciata dalla sua sede (il Partenone), gli faceva visita chiedendogli ospitalità. Il crollo del paganesimo coincide con la distruzione delle statue, che sopravvissero ancora nei villaggi più remoti e nelle case di pochi intellettuali ancora legati alla cultura classica e pagana. Il cristianesimo cambiò l'uso e lo spirito dell'Acropoli: i Propilei ospitarono il vescovo; l'Eretteo diventa chiesa della Madre di Dio; il Partenone stesso diviene chiesa della Vergine Maria (che del resto era il tempio già dedicato ad un'altra vergine, Atena). Gli imperatori fanno il resto, spogliando l'area sacra delle colonne e delle statue per arredare Costantinopoli, nuova capitale. Siamo certi che sul finire del XII secolo (prendendo come riferimento il dotto vescovo ateniese Michele Choniate) l'interno del Partenone era simile a quello di una qualsiasi chiesa bizantina: pareti coperte da arredi liturgici, dipinti, numerosissime icone, profumo d'incenso. Con la IV crociata (1202-1204) Atene diviene un ducato latino: dei francesi, poi dei catalani, quindi degli Acciaiuoli, famiglia fiorentina. Nel Partenone, ormai dipendente dal papa, si celebrerà il rito latino con la conseguenza trasformazione degli arredi. L'aspetto dell'Acropoli era ormai quella di un castello fortificato con mura e torri. Nel 1456, con la caduta dell'Impero romano d'oriente, si ha il suo passaggio in mano turca, facendo così diventare il Partenone una moschea (un minareto sorse all'angolo sud.ovest), l'Eretteo (l'edificio che aveva celebrato i riti congiunti di Atene e Poseidone, ornato esternamente dalla loggia delle Cariatidi), fu destinato ad harem.
Con il progressivo interesse per le antichità classiche che accompagna il Rinascimento, il Partenone diviene oggetto di studio di un intellettuale italiano in visita all'Acropoli nel 1436: Ciriaco d'Ancona. Il suo disegno, condotto senza tenere troppo conto delle proporzioni e dell'effettiva distanza tra le colonne, è un segno di come se non fossero caduto in mano turca, le antichità ateniesi avrebbero certamente influito sull'evoluzione dell'architettura italiana del Rinascimento. Nonostante una certa imprecisione, si comprende come la decorazione sia quella del fronte occidentale, quella opposta ai Propilei, dove era raffigurata la mitica sfida tra Atena e Poseidone per il possesso dell'Attica. Interessante anche il commento fornito dall'umanista italiano alla vista del Partenone:
"Et quod magis adnotari placuit, extat in summa civitatis arce ingens, et mirabile Palladis Divae marmoreum templum, divum quippe opus Phidiae. LVIII sublime columnis magnitudinis p. 7 diametrumhabens, ornatissimum undique, nobilissimis imaginibus in utriusque frontibus, atque parietibus insculptis, listis, et epistylijs mira fabresculptoris arte conspicitur".
Ben diversa dunque dal superficiale appunto del notaio Nicola Martoni che, reduce da un pellegrinaggio in Terra Santa nel 1395, effettuò una tappa ad Atene. Nel suo Liber Peregrinationis commenta infatti il Partenone come “Ecclesia maior Athenarum […] vocaboli Sancte Marie”, e nessun accenno al suo glorioso passato nè ai suoi capolavori artistici. Il disegno di Ciriaco rivela tuttavia una certa incomprensione del soggetto del frontone ovest. Poseidone ad esempio non compare, e nel tentativo di descrivere la scena si limita a indicare "magnis colosseisve simulachris Hominum & Equorum".
Assai più analitico e fedele al dato osservato sono i rilievi di Jacques Carrey, artista giunto ad Atene nell'autunno del 1674 al seguito dell'ambasciatore francese a Costantinopoli, il marchese di Nointel. E i disegni sono tanto più preziosi in quanto precedono l'esplosione avvenuta il 26 settembre 1687, quando un colpo di mortaio cadde sul Partenone provocando lo scoppio della cella, impiegata dai Turchi come deposito di polvere da sparo. In quell'occasione il veneziano Morosini, presa l'Acropoli, cercò di prelevare la quadriga marmorea dal frontone ma durante la sua discesa le corde si spezzarono, riducendo le sculture in frammenti.
Carrey trascurò la parte architettonica dell'edificio, ma i suoi rilievi (conservati alla Bibliothèque National di Parigi) sono accuratissimi, tenendo anche conto della difficoltà da lui incontrata nel copiare le sculture dal basso. A contribuire ad una ulteriore spogliazione del Partenone fu Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, nominato nel 1799 ambasciatore di Sua maestà Britannica alla Sublime Porta di Selim II, sultano di Turchia. Nel 1801 furono già prelevati circa 75 metri di fregio ionico (quello esterno della cella), quindici metope (dal fregio dorico esterno) e dodici sculture frontonali. Alcuni anni dopo alcune delle casse con dentro i preziosi marmi arrivarono a Londra, e dal 1807 poterono essere visitati da artisti ed appassionati d'arte. Lord Elgin portò a Londra anche una delle Cariatidi dell'Eretteo, strappandola all'edificio. La comprensione dell'arte greca poteva dunque prendere avvio, e molti artisti inglesi trascorsero giornate intere a copiare le statue in una sala allestita provvisoriamente, ritratta dal pittore Archibald Archer nel 1819 in una tela conservata al British Museum di Londra.
Sulla correttezza dell'operazione condotta da Lord Elgin si scagliò Lord Byron, che negli scritti intitolati Childe Harold's Pilgrimage e The Curse of Minerva sottolineava anche l'incapacità dei Greci di contrastare la spoliazione dell'Acropoli. Lord Byron, poeta romantico, non poteva non notare in questo atteggiamento il segno della decadenza di un grande popolo che, per riscattarsi, avrebbe dovuto reagire combattendo la dominazione straniera. Dopo l'arrivo a Londra dei marmi partenonici la loro influenza sugli artisti fu enorme. Tra il 1804 e il 1819 Canova scolpisce il Teseo in lotta con il Centauro (Vienna, Kunsthistorisches Museum), ispirandosi, per il soggetto, alle metope, ma con l'obiettivo di emulare anche il senso di "vera carne" derivato dall'osservazione degli originali fidiaci.
La torsione del centauro richiama infatti quella della divinità fluviale ateniese Ilisso (London, British Museum). Interessante è a tal proposito la lettera che Quatremère de Quincy scrisse a Canova il 15 novembre 1817:
"Non giudico che qualche profitto per l'arte debba nascere da questi frammenti (del Partenone). Che peccato che non siano posti a Roma in confronto degli altri Antichi! Io vi devo confessare che un certo paragone, ch'è stato fatto qui, non da me solo; cioè che nelle vostre opere si ritrova più che non si può dire di quello stile e di quella maniera. Io mi rallegro che vi venga voglia di terminare il vostro Teseo col Centauro in presenza di quella Fidiaca scultura".
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Notevoli furono le influenze anche nell'ambito della pittura. Frederic Lord Leighton, direttore della Royal Academy dal 1878 al 1896, inviò un Autoritratto agli Uffizi scegliendo come sfondo un particolare degli Efebi a cavallo dal fregio esterno della cella.
Tracce di un profondo studio sui marmi di Fidia emergono da altre sue opere, ad esempio da Idillio (Collezione privata), che nella disposizione delle figure e nel trattamento dei panneggi (con fitte pieghe fortemente aderenti ai corpi) richiama il gruppo con Afrodite e Dione dal frontone est del Partenone (London, British Museum)
Bibliografia e sitografia http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=368 V. Farinella, S. Panichi, L'eco dei marmi. Il Partenone a Londra. Un nuovo canone della classicità, Roma, Donzelli editore, 2003.

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