lunedì 7 gennaio 2013

L'immagine del bosco nell'Ottocento III

IL BOSCO IN POSA Nel trattare della rappresentazione del bosco lungo tutto il XIX secolo è necessario ricordare il grande contributo degli artisti francesi, espresso grazie anche ad un apparato teorico fortemente stimolato e divulgato già in seno all’accademia. È il trattato di Henry de Valenciennes (Elements de perspective, cui appartiene il capitolo Réflexions et Conseils à un élève sur la Peinture et particulièrment sur le genre du Paysage) a fornire i consigli utili ai giovani artisti che intendevano dedicarsi alla pittura di paesaggio nelle sue varie manifestazioni, anche atmosferiche. Analogo è l’approccio degli inglesi, condotto tuttavia senza il medesimo approccio teorico e pedagogico dei colleghi francesi. Alcuni di loro, ancorché avviati alla pittura negli atelier di pittura più autorevoli, si dedicarono alla fotografia, scegliendo come soggetti per lo più cattedrali e luoghi boscosi. Ci riferiamo a Gustave Le Gray (Villers-le-Bel, 1820 – Il Cairo, 1884), Henri Le Secq (Parigi, 1818 – Parigi, 1882), Eugène Cuvelier (Arras, 1837 – Thomery, 1900), solo per citare i più celebri, cui si aggiunge l’inglese Frederick H. Evans (Londra, 1953- 1943). Di Le Gray prendiamo ad esempio la Foresta di Fontainebleau (25,9 x 36,8 cm, 1852-53, Parigi, Musée d’Orsay), dove il punto di vista fortemente ribassato, quasi ad altezza del terreno, permette di sviluppare in tutta la loro altezza i grandi alberi dal sottobosco fino al cielo, reso bianco dalla stessa luce che filtrando attraverso i rami, crea sul sentiero effetti che piaceranno particolarmente agli impressionisti.
Altrettanto significativo è il caso di Le Secq, che nell’atelier del pittore di storia Paul Delaroche diviene amico ed allievo di Le Gray, col quale prende parte alla Mission héliographique, vera e propria campagna fotografica volta a ritrarre gli edifici più importanti della Francia dell’Est, specie le cattedrali di Reims, Strasbourg e Laon.
Ereditata dalla moglie una proprietà nei pressi della foresta di Montmirail, Le Secq inizia la realizzazione di numerose fotografie del sottobosco, degli alberi cedui, delle rocce. Di lui Henri de Lacretelle scrisse sulla rivista della Société héliographique (La Lumière): «Nous avons feuilleté longtemps l’inépuisabile album de M. Lesecq (sic). Le jeune artiste, noblement dévoué à la double mission qu’il s’est donnée, ne quitte les tableaux de son chevalet que pour ceux de sa chambre obscure.» A rappresentarlo abbiamo scelto una fotografia del Musée des Arts décoratifs di Parigi dal titolo Ruscello nel bosco (50,7 x 37,7 cm, del 1852 circa). Merita uno sguardo anche la produzione dell’inglese Evans il quale, oltre al paesaggio risulta attratto anche dagli interni delle cattedrali e dai ritratti. In questa foto del Metropolitan Museum, il bosco rivela continui ed inattesi giochi di luce e ombra, confermando quanto forte continuasse ad essere l’attrazione esercitata da quel soggetto sugli artisti già ad apertura di secolo (la foto in questione è infatti del 1909, qui riportata).
Tornando alla pittura, una figura fondamentale tra Settecento e Ottocento è Jean-Victor Bertin (Parigi, 1767 – 1842), che rivela un interesse per il paesaggio classico, recuperato attraverso lo studio assiduo dei grandi pittori seicenteschi quali Claude Lorrain e Nicola Poussin. Ma confrontando due opere, entrambe del Metropolitan Museum, eseguite a oltre trent’anni di distanza l’una dall’altra, ne ricaviamo l’impressione che il suo stile controllato, mentale, rigoroso, col tempo si stemperasse forse per l’influenza dei più giovani colleghi, divenendo più diretto e spontaneo. Va tuttavia considerato che i due quadri sono sicuramente stati concepiti con diverse finalità, anche in considerazione del diverso supporto su cui sono stati dipinti (l’uno, del 1803, su pannello di legno, l’altro del 1835, ad olio su carta, rispettivamente di 36,8 x 45,7 cm e 38,7 x 52,4 cm), ma ciò non toglie che rappresentino bene il dibattito intorno alla rappresentazione del bosco e della natura che la Francia di primo Ottocento viveva.
In un’opera come la Caccia nell’Agro Pontino di Horace Vernet (1789-1863), dipinta nel 1833 (oggi a Washington, National Gallery, 100,3 x 137,2 cm), si ha la sensazione vivida che ad aver colpito l’artista siano stati i grandi alberi, come quello ormai secco che, spezzato alla base, si è rovesciato su quelli ad esso vicini che ne hanno fermato la caduta, realizzando così una sorta di abbraccio. Una foresta resa quasi impenetrabile dalla folta vegetazione cui i grandi alberi secolari sembrano fare da guardiani.
I boschi della campagna romana dei dintorni di Terni, con il loro forte potere evocativo sedimentato dalla storia, alimentano, tra gli altri, l’ispirazione di Corot. Comunicare un’emozione era uno degli obiettivi del paesaggio romantico al quale Corot era maggiormente fedele, e se accorse uno dei suoi critici più attenti quando scrisse: «Non è un paesaggista, è il poeta stesso del paesaggio, che sente, che soffre, che trova, che respira le tristezze e le gioie della natura; conosce il dolore delle foreste desolate, l’ineffabile malinconia delle sere, la gioia radiosa delle primavere e delle aurore; indovina quale pensiero inclina i rami e fa piegare il fogliame; sa quello che direbbero se potessero parlare, i sentieri perduti nei boschi. Il legame, il grande legame che fa di noi i fratelli dei ruscelli e degli alberi, lui lo vede; le sue figure, poetiche quanto le sue foreste, non sono estranee alla natura che le circonda».6 Di seguito si riproducono Querce a Pas-Bréau nei pressi di Fontainebleau, New York, Metropolitan, 1832-33, 39,7 x 49,5 cm) e la Foresta di Fontainebleau (Washington D.C., National Gallery, 1854-35, 175 x 232 cm).
Insieme a quelle italiane, le foreste francesi (dell’Auvergne e di Fonainebleau soprattutto), come si è visto, diventano il luogo privilegiato ove lavorare a contatto diretto con la natura, nell’eccitante sfida a cogliere con immediatezza il mutare della luce. Disinvolto nell’esecuzione e principalmente attento proprio alla resa dei raggi del sole filtrati dal fogliame è Théodore Rousseau (1812-1867), che nel raffigurare i grandi alberi ne il Vecchio parco di Saint-Cloud (Ottawa, National Gallery of Canada, olio su tela 66,6 x 82,5 cm) dimostra di avere lavorato direttamente ed interamente en plein air, come suggeriscono le tracce di grafite trovate sotto la sottile pellicola pittorica (lo si può vedere sul sito del Museo canadese: http://www.gallery.ca/en/see/collections/artwork.php?mkey=14898 . Si veda anche il sito del Musée d’Orsay, cui appartiene Interno del bosco di Fontainebleau, dipinto da Rousseau tra il 1836 e il 1837, molto vicino per soggetto alla tela del Museum di Dallas del’artista francese (ma di origini spagnole) Narcisse Diaz de la Peña
Le foreste di Fontainebleau, a Sud Est di Parigi, continuano per quasi tutto l’Ottocento ad essere scelte come atelier a cielo aperto da una nutrita schiera di pittori attratti da un nuovo modo di percepire la natura e il paesaggio. Insieme ai già citati Corot e Rousseau, sono i meno noti – ma a loro contemporanei - Achille-Etna Michallon (1796-1822) e Augustin Enfantin (1793- 1827), prematuramente scomparsi, ad aver lasciato suggestive rappresentazioni non solo dei luoghi, ma anche dell’entusiasmo di trovarsi immersi in essi. In un piccolo dipinto, eseguito significativamente ad olio su carta (per una più pratica e facile trasportabilità), Enfantin dipinge un artista, forse lui stesso o un collega, intento a ritrarre alberi e rocce proprio nel cuore della foresta, col cavalletto poggiante su di alcune rocce.7
Di Michallon merita di essere segnalato The fallen oak branch (Minneapolis Insitute of Art, 41,9 x 52,1 cm) dove il pittore è attratto, entro la vegetazione della rigogliosa foresta, dall’enorme tronco spezzato di una vecchia quercia. Le tipiche foglie dorate dell’albero e il suo legno nodoso, oramai privi di vita, sembrano invitare a un pensiero sul significato dell’esistenza, persino di quella umana.
Consultando l’Inventaire du Département des Arts Graphiques del Louvre, visibile anche online, si possono ammirare freschissimi disegni di particolari della foresta di Fontainebleau eseguiti da Théodore Caruelle d’Aligny (1798-1871), come quello qui riportato (Alberi e rocce).
Altri significativi artisti del periodo, facenti parte della Ècole de Barbizon, sono Francois Millet (1814-1885), Henri Harpignes (1819-1916), Jules Dupré (1811-1889), Henri Joseph Constant Dutilleux (1807-1865). Quest’ultimo, formatosi in ambito accademico, ebbe una vera e propria rivelazione quando conobbe l’opera di Corot, al punto da convincerlo a dedicarsi esclusivamente al paesaggio. In Pini e betulle della foresta di Fontainebleau, del Louvre (olio su tavola, 40,5 x 54 cm), ci si trova di fronte ad un tipico dipinto di Dutilleux, iniziato en plein-air e terminato in atelier, caratterizzato da composizione accurata, sicuro dominio dell’impaginazione e morbidi effetti di luce.
L’attrazione esercitata dal bosco coinvolse anche un grande pittore di figura qual è Eugène Delacroix (1798-1863) che lo fece diventare coprotagonista nella Lotta di Giacobbe con l’angelo della chiesa di Saint-Sulpice, eseguito ad olio e cera su muro tra il 1854 e il 1561 (qui sotto riportata a sinistra). La vasta superficie della parete è dominata dalla monumentalità delle querce, in cui la lezione dei veneti del Cinquecento (specie di Tiziano, di cui Delacroix possedeva una copia del l’Uccisione di San Pietro Martire eseguita da Géricault; la pala originale, perduta in un incendio, si trovata nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, qui riprodotta attraverso la foto di una copia antica, in basso a destra) si sovrappone all’esperienza diretta sull’esempio dei barbizonniers.8
Gustave Courbet (1819-1877), caposcuola del Realismo francese, sviluppa un approccio tecnico nuovo al paesaggio. La materia pittorica, densa e rugosa, viene applicata alla tela per mezzo non solo del pennello ma anche della spatola, e con tali mezzi ritrae i boschi intorno a Ornans, percorsi dal torrente Brema, le cui acque si fanno scure per via della folta vegetazione che solo a tratti lascia filtrare il sole. Si possono vedere e udire i luoghi che hanno ispirato Courbet da modello su http://www.youtube.com/watch?v=Y9KjhJWMIbk e confrontarlo con le tele conservate a Washington D.C., National Gallery (Le ruisseau du Puits-Noir vallée de la Loue, 104 x 138 cm, 1855), a Parigi, Musée d’Orsay (Le ruisseau couvert detto anche Le ruisseau noir, 94 x 135 cm, 1865) e a Baltimora, The Baltimore Museum of Art (Le Puits-Noir, 65 x 81 cm). Queste tele sono di seguito riportate nell’ordine in cui sono state citate.
Della tela di Washington si legge:
«les troncs centraux sont ainsi le pivot d’une composition basée sur un double mouvement, vers l’extérieur avec le ruisseau qui sembòe se déverser hors du cadre. Vers les profondeurs où le regard s’enfonce, guidé sur la droite par la scansion des troncs et des anfractuosités des rochers que le temps et la pluie ont rouillée par de grandes veines du haut en bas».9 La rappresentazione del nudo femminile nel dipinto La source (Parigi, Musée d’Orsay) fa del bosco in cui la donna è immersa un luogo incontaminato, originario, mitico. Il rinvio alla tradizione rinascimentale italiana, specie di Giorgione e di Tiziano, è filtrato da una nuova epidermide delle cose e del nudo, realistico e di forte impatto.
Per l’Italia, un posto di rilievo spetta alle tempere di Giuseppe Pietro Bagetti, di cui si ricordano i trenta esemplari conservati al Palazzo Reale di Torino datati agli anni Trenta dell’Ottocento. Una magica sequenza di valli e di boschi “di intensissima immagine mitica, che rappresenta l’altro volto del Bagetti ingegnere-topografo lontano, a queste date, dal tecnicismo funzionale alla cartografia” (Ottani Cavina). L’assenza di cielo nel foglio raffigurante Boschi e forre sulla montagna (62 x 100 cm), lascerebbe quasi supporre che l’artista si sia avvalso di una mongolfiera per ricavare questa immagine suggestiva e inconsueta. Nella sua formazione si mescolano lo studio delle esperienze pittoriche francesi, olandesi e britanniche (Constable in testa), funzionali ad una celebrazione della natura dilagante e non più antropocentrica. Il modello di Théodore Rousseau e dei maestri olandesi lo aiuta a dimostrare che l’attenzione scientifica poteva essere coniugabile al mistero della natura.
Una foresta esotica, selvaggia, impenetrabile, è quella accuratamente disegnata da Charles de Clarac (Musée du Louvre, Paris); archeologo dilettante e disegnatore di grande talento, nel 1816 accompagna in Brasile la missione del duca di Luxemburg. Ambasciatore straordinario di Luigi XVIII, Clarac disegna gli elementi tipici di una foresta primitiva che completerà,al suo rientro in Europa, con uno studio delle piante tropicali. La sua foresta vergine del Brasile, esposta al Salon parigino del 1819, sembra rispondere alle aspettative naturaliste di Alexandre de Humboldt che, nel suo saggio sulla geografia delle piante (1805) richiede agli artisti di andare a dipingere sul posto la prodigiosa ricchezza della vegetazione del Nuovo Mondo.
Altrettanto lussureggiante è la foresta giamaicana dipinta da uno dei più importanti esponenti della Hudson River School americana, Frederic Edwin Church (Hartford, 1826-New York, 1900), come si vede nel quadro eseguito ad olio su carta tra il maggio e il giugno del 1865 (Olana, State Historic Site, New York State Office of Parks Recreation and Historic Preservation).10
Un singolare contributo alla rappresentazione del bosco la si deve anche a John Everett Millais (1829-1896), nativo di Southampton, che venne ammesso alle scuole della Royal Academy ad appena 11 anni per via del suo eccezionale e precoce talento. L’inclinazione letteraria, dovuta anche alla frequentazione della confraternita dei Preraffaelliti, lo conduce a trovare anche nel paesaggio boscoso richiami alla poesia, in special modo dell’inglese Tennyson. Al momento della sua prima esposizione, il dipinto Dew-Drenched Furze (letteralmente Ginestre intrise di rugiada) venne commentato come «an autumnal scene in a dense wood, with a fern-crowned vista between trees opening to and ending in a lofty mass of russet oaks, ruddy beeches, and grey larches. The vapour has condensed upon the furze, ferns, leaves and gossamers. In a foreground, embedded among the fern stems, is a hen pheasant, whose mate, with his splendid plumage hidden in the shadow, is close at hand».11
In armonia con il clima di revival shakespeariano della cultura inglese di metà Ottocento, veicolato anche dalla Confraternita dei Preraffaelliti (la Pre-Raphaelites Brotherhood), la pittura non poteva mancare di dare visibilità agli episodi di svariate commedie e tragedie. Tra le prime è Sogno di una notte di mezza estate (A Midsummer Night’s Dream), che aveva già stimolato la fervida immaginazione figurativa degli artisti tedeschi, primo fra tutti di Johann Füssli. Il bosco, anzi il sottobosco, offre la cornice scenica ideale ai momenti salienti che vedono protagonista la regina degli elfi Titania (l’atto III scena I, dove sono Titania e Bottom con la testa d’asino; l’atto II scena II, dove Titania è sprofondata nel sonno). Tra le tragedie di Shakespeare la figura di Ofelia (dall’Amleto, ossia The tragical History of Hamlet, Prince of Denmark) e la narrazione del suo suicidio implicano una descrizione del bosco in cui, attraverso un’attenzione quasi botanica per le varie specie che è tipica dei Preraffaelliti (lo stesso John Everett Millais già citato, o ad esempio John William Waterhouse, tele entrambe alla Tate Gallery di Londra, ma si può ricordare anche l’opera del tedesco Victor Von Müller conservata a Francoforte, Städelsches Kunstinstitut, del 1869), possiamo distinguere la vegetazione arborea solita a trovarsi lungo le rive dei torrenti. Da Sogno di una notte di mezza estate si riportano qui due tele, la prima dell’austriaco Alois Nigg (Vienna, attivo tra il 1800 e il 1850), della Pinacoteca Civica al Montirone di Abano Terme (data alla metà del XIX secolo, 83 x 104 cm, la prima immagine) e l’altra dell’inglese Richard Dadd (Parigi, Louvre, 64 x 77 cm, del 1886; la seconda immagine). Calato in una dimensione sospesa tra il misticismo religioso e il risveglio di un nuovo senso nazionale è il bosco nella pittura del Romanticismo tedesco. In particolar modo la quercia, pianta tedesca per eccellenza, e dunque il bosco-querceto, ritornano piuttosto frequentemente quali simboli di questo sentimento di appartenenza.
Ne è prova la tela di Friedrich Georg Kerting raffigurante Theodor Korner, Friesen e Hartmann di guardia in prima linea del 1815 (Berlino, Staaliche Museen Preußischer Kulturbesitz, Nationalgalerie). Il dipinto commemora gli amici del pittore che si batterono durante la guerra di liberazione contro Napoleone e vi persero la vita. L’ambientazione non poteva essere più adeguata: i tre sono di guardia ai margini di un querceto pervaso di luce. Sulla destra, in piedi, Karl Friedrich Friesen, maestro di ginnastica e stretto collaboratore del “Turnvater Jahn”, il padre della ginnastica moderna. A sinistra, appoggiato al tronco di una quercia, siede Theodor Korner, il poeta di cui nel 1824 fu pubblicata la raccolta di poesie dal titolo Leyer und Schwert. Davanti a lui è sdraiato Hartmann con la pipa in bocca. Tutti indossano l’uniforme nera del corpo dei volontari e portano la croce di ferro ideata da Schinkel. Nel quadro la memoria degli amici si unisce alla coscienza patriottica e al monito sulla situazione politica contemporanea.12
Pochi anni prima, nel 1810, lo stesso albero ritornò nel dipinto di Casar David Friedrich Abbazia nel querceto (Berlino, Alte Nationalgalerie, 110,4 x 171 cm), dove il bosco avvolto nella nebbia dialoga in modo sinistro con i ruderi dell’edificio gotico intorno al quale sono un cimitero e un corteo funebre.
Di tono idillico è la tela di Adrian Ludwig Richter raffigurante Genoveffa nel bosco (olio su tela, Amburgo, Kunsthalle, 1841, 116,5 x 100,5 cm), in cui l’isolamento nel bosco si fa rifugio ideale di animali uomini che hanno rifiutato le angustie della vita di città, accettando di vivere in una dimensione atemporale. La leggenda narra che Genoveffa di Brabante, vissuta nell’VIII secolo, era la sposa del conte palatino Siegfried. Accusata ingiustamente di adulterio, fuggì nel bosco insieme al suo bambino dove entrambi si nutrirono del latte di una cerva. Lo sposo, ritornato in patria, la trovò e ne riconobbe l’innocenza, mentre Golo, che l’aveva ingiustamente accusata, fu giustiziato. Suggestiva è l’immagine del bosco nel piccolo dipinto di Heinrich August (1794-1822) oggi a Dresda (1809-1810, 21 x 26 cm, Galerie Neue Maister), dove attenta è l’indagine delle molte specie che crescono e fioriscono all’ombra dei grandi alberi.
Vero e proprio specialista del genere, coltivato anche durante il suo viaggio in Italia, è Carl Blechen (Cottbus, 1798- Berlino, 1840), che ritrasse il parco della Villa d’Este a Tivoli e, in Germania, vedute boschive di parchi e foreste, come Sentiero nella foresta di Spandau, dell’Alte Nationalgalerie (olio su tela, 73 x 102 cm), dipinto nella sua maturità, dove a colpire è la notevole padronanza con cui l’artista riesce a ottenere l’effetto della densa ombra, con i due grandi alberi in controluce sulla sinistra, mentre il sentiero che attraversa la foresta sembra condurre il nostro sguardo verso l’orizzonte.
Condotto con la stessa rapidità di un essenziale appunto, e per questo più moderno, è l’approccio disinvolto alla natura dell’inglese Johan Barthold Jongkind, ammirato dagli impressionisti Camille Pissarro e Claude Monet, il quale scrisse del collega d’oltremanica: “la sua pittura era moderna; egli era stato il mio vero maestro e a lui devo l’educazione finale del mio occhio artistico”.
Tra i tanti esempi che è possibile fare, si propone di considerare il disegno conservato al Musée du Louvre, raffinato proprio per la sua sintetica immediatezza, raffigurante un sentiero che si avvia ad entrare in un bosco. Prima della Secessione viennese, la pittura in Austria può ben essere rappresentata da Ferdinand Georg Waldmüller (1793-1865), artista di qualità tecniche altissime e di straordinaria versatilità nel trattare i generi più disparati, dalla ritrattistica imperiale a scene popolari, ai fiori e alla nature morte con preziose argenterie dove il suo stile, affine per molti versi al chippendale, si spinge fino a risultati virtuosistici. Non mancò di trattare neppure il paesaggio, e per il nostro viaggio pittorico nel bosco possiamo soffermarci sul dipinto di Cleveland (The Cleveland Museum of Art, Ohio), di non grande formato (olio su tela, 25 x 31 cm) ma di elevata qualità, sia per la descrizione delle masse, sia per la scansione in profondità visibile attraverso i tronchi delle querce di questo parco ritratto nelle vicinanze di Vienna.
Di certo l’apporto più significativo della pittura austriaca al paesaggio moderno si ha con Gustav Klimt. In Faggeto I (Dresda, Moderne Galerie, 1902 circa, 100 x 100 cm) e in Bosco di betulle (Vienna, Sterreichische Galerie, 1903 circa, 110 x 110), ci troviamo completamente all’interno della vegetazione, di cui l’artista ritrae, in equilibrio sottile tra stilizzazione, ornamento, naturalismo, i tronchi degli alberi, che con le loro forme flessuose e la corteccia chiara, si fanno decorazione. Benché Klimt dipingesse paesaggi come passatempo, il suo contributo al genere è di assoluta originalità. Lui stesso scrisse, in una lettera del 1903 indirizzata a Marie Zimmermann, le sue giornate nei pressi del lago di Attersee: «Mi alzo di solito molto presto, intorno alle 6; se il tempo è bello, vado a fare una passeggiata nel bosco vicino; là mi metto a dipingere una piccola faggeta (col sole) con qualche conifera qua e là, e questo fino alle 8; alle 8 si fa colazione e poi si va a fare il bagno nel lago, prendendo tutte le dovute precauzioni; poi dipingo ancora un po’[…]».13
Per la Spagna, e in particolare per la Catalogna, Lluis Rigalt y Farriol (Barcellona, 1814-1894) costituisce uno dei più significativi pittori di paesaggio del Romanticismo. Vicino all’opera del francese Vernet è la tela raffigurante Paesaggio con bosco del Museu Nacional di Barcellona, del 1866, dalla vegetazione solenne con grandi alberi che digradano all’orizzonte da destra a sinistra.
I fitti boschi di pino silvestre, tipici della Sierra del Guadarrama, massiccio montuoso nel cuore della Spagna, sono stati dipinti da Martin Rico y Ortega (1833-1908), come dimostra la tela conservata a Madrid, Prado (olio su tela, 69 x 100 cm). Le varietà geologiche, vegetali e meterologiche del Guadarrama consentirono all’artista di sviluppare il suo talento paesaggistico, influenzato in parte dal francese Charles Daubigny.
L’influenza della tradizione di pittura en plein-air, in particolare dei Barbizonniers, si nota invece nell’opera di alcuni artisti della Escola di Olot, fondata da Joaquim Vayreda (1843-1894) a Barcellona e lui stesso membro fondatore, più tardi, del Cercle de Sant Luc, una associazione di artisti di profonda fede cattolica e dall’deologia molto conservatrice eppure vicini, per stile, all’estetica modernista. Del Museu Nacional d’Art de Catalunya si ricorda la luminosa tela raffigurante un Bosco con alberi in fiore, del 1893 (78 x 138,3 cm), che nel segno attento e nell’approccio fotografico ricorda sia l’insegnamento del francese François Millet che dei Preraffaelliti inglesi.
Del 1891 è il dipinto di Joaquim Vancells (Terrasa, 1866 – Barcellona, 1942) dal titolo Febbraio: paesaggio, esposto alla prima Esposizione generale di Belle Arti di Barcellona di quello stesso 1891 (oggi allo stesso Museu Nacional di Barcellona, 102,5 x 155,5 cm). Il bosco appare nella sua veste invernale, intriso di una leggera nebbia il cui grigiore contrasta con le foglie dorate a terra. Anche questo quadro mostra una accentuata vocazione al realismo descrittivo, ma la pennellata sciolta e mossa rivela la sensibilità più moderna dell’artista.
Tra le opere dedicate da Van Gogh al nostro tema, un posto d’eccezione spetta al dipinto raffigurante Bosco e sottobosco (Amsterdam, Van Gogh Museum, olio su tela, 46,5 x 56,5 cm), eseguito nell’estate del 1887.
Il motivo della fitta vegetazione gli viene ispirata forse anche dall’opera di Narcisse Diaz de la Peña (di cui si riporta qui una tela del Museum of Art di Dallas, Texas, 84x111 cm, del 1868), uno dei più celebri maestri dell’Ècole de Barbizon, specialista nel rendere i giochi di luce in queste situazioni di natura. Nel dipinto di Van Gogh, scorgiamo una sottile vena simbolica nell’edera che si abbarbica sugli alberi: metafora e desiderio di legame affettivo da parte del pittore.
Ormai a un passo da una visione astraente e non più fenomenica è l’interpretazione data da un allievo di Gauguin, Paul Serusier, ne Le Talisman (ottobre 1888, 27 x 21 cm, olio su legno, Parigi, Musée d’Orsay). Dipinto a Pont-Aven, Sérusier porta il piccolo dipinto a Parigi e lo mostra a suoi giovani colleghi (i futuri “nabis”, ossia “profeti” in lingua ebraica) facendolo diventare il “Talismano” della confraternita.
Solo guardandolo attentamente è possibile scorgere il bosco in alto a sinistra (il cosiddetto Bois d’Amour), la strada trasversale, la fila di faggi sulla riva del fiume e il mulino in fondo sulla destra. Le macchie di colore, stese libere e senza finalità mimetiche, rispondono in pieno alla nuova poetica del sintetismo inaugurata da Gauguin, il quale aveva fatto a Sérusier il seguente discorso: «Come vedete questi alberi? Sono gialli. Ebbene metteteci del giallo; quest’ombra, decisamente blu, coloratela di una tonalità blu oltremare puro; queste foglie rosse? Dipingetele di vermiglio». Il superamento della lezione impressionista è ormai avvenuto, nonostante ancora non si abbia il coraggio di lavorare lontano dalla natura e dal paesaggio stesso. Come avviene anche, ma con altri risultati, in Cézanne.
In pieno clima simbolista è Serenità, detto anche Il sacro bosco, grande tela del francese Henri Martin (1860-1943) conservata al Musée d’Orsay di Parigi.
La stesura del colore è divisionista, il che consente al pittore di conseguire effetti di luce naturalistici e realistici. Un approccio molto diverso rispetto dal dipinto di Paul Sérusier parimenti intitolato Il sacro bosco (o l’Incantesimo, conservato a Quimper, Musée des Beaux-Arts), dove a prevalere sono le qualità bidimensionali, semplificate e apparentemente ingenue già viste nel dipinto di Bernard, col quale peraltro condivide la medesima atmosfera di sacra e primitiva sospensione.
Dall’osservazione del bosco Paul Cézanne (1839-1906) ne ricava una sintesi formale fortemente schematica e geometrica, come nel dipinto dal titolo Neve sciolta a Fontainebleau del Museum of Modern Art (MOMA) di New York. Se dunque anche il precursore della scomposizione cubista si lasciò attrarre dalle atmosfere care ai molti pittori che, come abbiamo visto, frequentarono quella zona, il risultato è del tutto autonomo ed originale. La verticalità degli alberi e l’orizzontalità dei loro rami creano una armonica trama di linee, negli stessi anni (1879-80) in cui i colleghi Monet e Renoir coglievano il vento e il sole tra le foglie con la rapidità di un’impressione.
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3 commenti:

  1. Lavoro svolto a cura del prof. Fabio Chiodini nell'ambito di un progetto condotto in una classe del Liceo Laura Bassi di Bologna.

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  2. A chi mi chiede se esiste un volume specifico sul tema del bosco rispondo che lo ignoro. Esistono a dir il vero gli atti del Convegno svoltosi nel 1999 dal titolo "Il bosco nella cultura europea tra realtà e immaginario", ma non ho avuto modo di prenderne visione.

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